Su queste pagine abbiamo più volte ragionato sulle novità introdotte con l’attivazione della nuova misura nazionale denominata “Assegno di Inclusione“, attiva dal primo gennaio 2024 ed introdotta dal D.L. 48/2023.
In particolare, il prevedibile collo di bottiglia sull’accertamento delle condizioni di svantaggio si sta palesando in questi giorni generando ulteriori difficoltà nell’ottenimento della misura economica per i nuclei che vivono determinate e limitate situazioni previste dalla normativa.
Cosa sta succedendo? Per iniziare è necessario comprendere chi sia titolato a richiedere l’assegno di inclusione: ADI è riconosciuto ai nuclei familiari che abbiano almeno un componente in una delle seguenti condizioni:
- con disabilità;
- minorenne;
- con almeno 60 anni di età;
- in condizione di svantaggio e inserito in programma di cura e assistenza dei servizi socio sanitari territoriali certificato dalla pubblica amministrazione.
Quest’ultima condizione in verità è completamente slegata, come detto, dai patti di inclusione operati dai servizi sociali comunali ai tempi del Reddito di Cittadinanza, andato definitivamente in pensione il 31.12.2023.
Le condizioni di svantaggio sono specifiche, delicatissime situazioni e condizioni esistenti antecedentemente alla presentazione dell’istanza, già riconosciute, note ed attestate dalla Pubblica Amministrazione erogante il servizio di assistenza o programma di cura definiti con un Decreto Ministeriale (il 154 del 13 dicembre 2023), entrato in vigore qualche giorno prima dell’apertura delle piattaforme del Ministero del Lavoro necessarie alla presentazione delle istanze da parte dei cittadini e per la sottoscrizione telematica del Patto di Attivazione Digitale (P.A.D.).
La casistica, dunque, ben specifica, non riguarda in assoluto la sola condizione di disagio economico vissuta dal nucleo potenzialmente richiedente.
Negli ultimissimi giorni sono state definite con ulteriori procedure le competenze e le modalità di accertamento delle condizioni di svantaggio dei nuclei che hanno espressamente dichiarato la presa in carico per programmi di cura e assistenza socio sanitaria territoriale. Dunque l’attivazione di nuove funzioni – per Enti Locali e non – chiamati ad attestare le condizioni di svantaggio, così come definite dal Decreto Ministeriale.
Per i Comuni l’onere di attestare le prese in carico operate antecedentemente alla istanza del cittadino per i servizi comunali si palesa direttamente sulla piattaforma ministeriale Ge.P.I., sistema informatico già in uso ai Comuni per il Reddito di Cittadinanza e oggi per la gestione della nuova misura di inclusione A.d.I., nonché per i Progetti Utili alla Collettività ed il raccordo con i Centri per l’Impiego per la misura Supporto Formazione e Lavoro;
Per tutti gli altri Enti erogatori di servizi socio sanitari (ad esempio ASL, Aziende Ospedaliero-Universitarie ed Uffici di Esecuzione Penale Esterna) le verifiche di effettuano grazie a nuove funzionalità allocate direttamente sul portale INPS ed attivate lo scorso 10 febbraio;
In sede di istanza il cittadino doveva indicare, qualora dichiarata la condizione di svantaggio, l’Ente, la data di presa in carico e (all’occorrenza) il protocollo o l’ estremo dell’attestato dalla Pubblica Amministrazione rilasciato al cittadino.
Sessanta giorni dall’attribuzione del caso all’Ente coinvolto il tempo massimo utilizzabile dagli Enti per effettuare le verifiche, decorsi i quali prevarrà il silenzio assenso, con tutte le responsabilità conseguenti in caso di dichiarazione non rispondente a verità.
Ed effettivamente, soprattutto nelle confuse fasi iniziali, nei giorni prenatalizi in cui sono state presentate gran parte delle istanze, sembra che numerosi cittadini, o loro delegati, abbiano indicato erroneamente delle condizioni di svantaggio non corrispondenti alle stringenti tabelle ministeriali o addirittura indicato Enti non coinvolti nelle effettive prese in carico o ancora indicato erronee interpretazioni di “condizioni di svantaggio”, elevando così a dismisura il numero di accertamenti da effettuare.
L’Ente accertatore segnalerà ad INPS l’accertamento positivo ovvero negativo. Quest’ultimo comporterà il diniego dell’istanza da parte di INPS che non potrà essere ripresentata, a quanto pare, prima di sessanta giorni dal provvedimento di diniego.
Se l’Ente chiamato ad accertare non effettuerà nei tempi il controllo l’istanza verrà ammessa, seppur con il rischio di essere accertati con ritardo.
In quel caso i beneficiari rischiano, qualora non titolari di condizioni di svantaggio, procedure di indebito e conseguenti restituzioni di somme nel frattempo indebitamente percepite.